AST Terni non è e non deve essere come il vaso di coccio tra i vasi di ferro
AST Terni: Solo alcuni problemi della siderurgia italiana sono comuni a molte altre realtà non solo europee, siamo in un periodo di recessione, e la recessione colpisce tutti, specie le aziende siderurgiche che vengono definite cicliche, proprio perché più delle altre risentono delle condizioni generali del mercato. Il sottoscritto quando fu assunto in Terninoss, azienda antenata dell’AST Terni se così si può dire, nel lontano 1985, si sentiva dire dai colleghi più anziani che gli americani, comproprietari con finsider del comparto del freddo fino al 1986, se ne andavano perché era finito un ciclo e gli azionisti che avevano tanto guadagnato non volevano rimetterci nel mandare avanti una azienda siderurgica in un momento, allora come oggi, così difficile per il mercato.
Venticinque anni dopo i discorsi non cambiano per l’Ast Terni , cambiano gli scenari con attori che prima non c’erano. Brasiliani, cinesi, coreani, indiani, turchi allora non si consideravano concorrenti, oggi invece lo sono, hanno conquistato il mondo. Le lavorazioni del magnetico, per esempio, finiscono in Turchia, dove la manodopera costa decisamente meno e forse non c’è la stessa attenzione per i problemi della salute e dell’ambiente che in Italia fortunatamente c’è. In Italia nel settore, per anni, abbiamo avuto un panorama di coesistenza tra aziende medio piccole e grandi come l’Ilva di Taranto e la stessa AST Terni, oggi invece si sconta il fallimento di quelle che sono state le privatizzazioni fatte negli anni novanta, quando si pensava che lo stato non fosse più in grado di sostenere economicamente la siderurgia e che invece il mercato sì. Ma il mercato, è degli speculatori, qualcuno lo dimenticò e il mercato non ha le stesse finalità dello stato che deve interessarsi del bene comune dei cittadini e che può investire il denaro pubblico anche dove il denaro privato non sarebbe mai messo perché a rischio perdita. Adesso però non è più il momento di soffermarsi al passato, ma di guardare verso il presente prima e il futuro poi anche se le lezioni del passato non vanno dimenticate, e se questo vale per tutti lo vale di più per l’AST Terni. Il presente, purtroppo, va verso la concentrazione delle industrie e una sempre costante diminuzione di alcuni ‘output’ tradizionali come quello diretto verso l’automotive o il settore ‘bianco’ degli elettrodomestici per esempio, che va sempre più delocalizzandosi perché ahimè, per quanto si tratti e di discuta, solo una forte diminuzione dei costi della manodopera, della tassazione e della burocrazia (si pensi agli infiniti tempi legali per ottenere un recupero forzoso dei crediti) potrebbero invertire il declino economico industriale del bel paese, che invece continua ad essere il bel paese per pochi. Una corte che decide di cassare la tassazione delle pensioni d’oro e cancellare il lungo, lento e laborioso lavoro fatto dai due rami del parlamento, lasciando inalterato un sistema che ormai ha creato un abisso tra ricchi e poveri, tra occupati, per lo più vecchi, e giovani, per lo più precari, da l’idea di come siamo messi davvero male come capacità di attrazione di capitali e imprese da fuori e soprattutto capacità di uscire rapidamente alla recessione, non è stato un bel segnale e i media lo hanno praticamente ignorato. Hanno sotto il loro mirino la politica e non osano discutere di altro anche quando sarebbe giusto farlo. Vogliamo parlare del credito? Del disastro che hanno creato i trattati di Basilea, uno, due e tre con una stretta sul credito e un rialzo dei tassi di interesse che non ha messo al sicuro nemmeno le banche? Queste alla fine traggono anche loro il guadagno dal lavoro delle imprese e non dai pezzi di carta, i derivati, che rischiano di essere solo una moderna catena di sant’Antonio e che possono essere usati come strumento di pressione contro le democrazie. Se una banca internazionale muove un po’ di derivati o vende un po’ di titoli di debito di uno stato, lo mette in ginocchio e può far cadere i governi anche se democraticamente eletti. La concentrazione delle banche, in un sistema come quello italiano che è fatto da imprese, per lo più medio piccole, è stato davvero un guaio per l’intera economia italiana. Per gli imprenditori locali non c’è più una banca locale che li conosca bene e che è capace di dare fiducia a chi è veramente nel bisogno e non è in grado di dare quegli asset che le banche vogliono. E purtroppo non si vuole tornare indietro, e si dimentica che non siamo negli Usa ma negli stati non uniti di Europa, dove ogni stato, se non regione, fa solo i suoi interessi e vede gli altri stati come concorrenti e l’Europa come un concentrato di lobby e di potentati.
In questo contesto Terni non è e non deve essere come il vaso di coccio tra i vasi di ferro di manzoniana memoria. L’ Umbria è compatta e unita, ha già fatto sentire la sua voce con le manifestazioni di piazza e con le dichiarazioni dei suoi massimi esponenti e non è disposta ad accettare qualunque soluzione purché si salvi qualche posto del lavoro. La lezione venuta dalla vertenza del magnetico è servita! Che siano due T, AST Terni – Tornio, con riferimento a quel piano bocciato dall’antitrust che perlomeno garantiva la saturazione dello stabilimento dell’AST Terni con la produzione del ferritico, che siano le 3 T, che si dice siano comprese nel piano Tajani (Taranto, Terni e Trieste), il bel paese deve mantenere la sua forza nella siderurgia che è strategica a prescindere e Terni vuole politiche industriali chiare da uno stato che venti anni fa commise l’errore di svendere i suoi asset allo straniero , allora non si chaimava AST Terni ma solo Terni, senza garanzie di sorta.
Per il momento ci sono solo indiscrezioni, bocche cucite, qualcuno sa qualche mezza cosa, “quelli che contano e che sanno” sappiano però che la gente di Terni vuole un futuro per il polo siderurgico, un futuro che magari preveda il ritorno a lavorazioni come quella del Titanio o del Magnetico, che diversifichino il rischio di fare solo inox. In questo senso anche i fucinati vanno salvaguardati e per una ragione anche di cultura industriale: sbagliato perdere le conoscenze tecnologiche in questo settore che con una ripartenza della domanda energetica potrebbe all’improvviso ripartire.
Cosa dice l’Europa in tal senso? Cosa dirà l’Aperam messo che Outokumpu accetti la sua offerta fino ad oggi considerata irricevibile? Si presentino con un piano industriale serio e credibile!
E a questo futuro vanno legati i servizi! E non solo per l’AST Terni.
Il sottosegretario umbro ai trasporti compia, con il ministro Lupi, il miracolo di concretizzare il collegamento stradale-ferroviario (per le merci) al porto di Civitavecchia con l’Umbria e l’università di Perugia delocalizzi completamente la sua facoltà di Ingegneria a Terni, che i soldi spesi per altri corsi sono soldi veramente spesi male mentre sarebbe giusto che il dipartimento di Ingegneria stesse vicino ai luoghi dove il suo sapere da una parte serve, da una parte si arricchisce dal confronto con la realtà del mondo del lavoro.
Terni 5 luglio ’13 Claudio Pace Blogger