Sceriffo della Val Serra una perla poetica di Maurizio Viola
Sceriffo
Annava a piedi da Giuncano a Laredo
de la legge avea fatto il suo credo
quarchiduno de Lui avea detto
che je brillava ‘na stella lla ‘n petto
li bardasci tremavono a vedellu
quanno avvicinannose a unu ‘mpò brillu
je puntava la pistola su ‘na recchia
e de botte je ne sparava ‘na fracchia
d’improvvisu spariva ‘gni sbronza
la musica arriempiva ‘gni stanza
li tavolini come ‘na pista da ballo
li caubboi ‘n giro senza cavallo
lu più grande sceriffu ternano
prima sparava poi te dea la mano
mentre stei tranquillu e beatu
o te facea sturzà o armanevi sturbatu
‘na battuta ‘na pacca su le spalle
e diventavi amicu pe la pelle
‘n andru giru ‘n andra sparatoria
co’ Lui ‘gni serata ‘na baldoria
adesso lla stella ha smesso de brillà
la pistola ha smesso de sparà
lu sceriffo se n’è jitu zittu zittu
a posto suu ‘n fiore su ‘n vasittu
annava a piedi da Giuncano a Laredo
de la legge avea fatto il suo credo
quanno sentiremo ‘n bottu da lassù
penseremo sempre che si stato tu
Maurizio Viola Poeta Ternano 01 03 2015
Lo Sceriffo della poesia si chiamava Mauro, ha una bellissima famiglia, una moglie e due figli.
Ha dato tutto per loro, prima il suo amore, il suo tempo, il suo lavoro ed ora anche la sua vita.
Come ha detto di lui il sacerdote che gli ha somministrato l’ultimo sacramento, è stato toccato da Dio prima dell’unzione, nostro Signore si è rivelato e lui lo ha accolto in grande serenità.
Il sacerdote conosceva il suo carattere scherzoso ed il suo attaccamento alla famiglia ed al lavoro, guidava il treno ma avrebbe guidato qualunque mezzo possibile e pensabile, perché voleva essere sempre alla guida di tutto sempre in testa, sempre avanti, vero punto di riferimento per chiunque gli avrebbe chiesto aiuto.
È stato un uomo profondamente onesto, dotato di un orgoglio smisurato che gli impediva di cedere al male che lo stava portando via, sapeva qual’era il suo destino e prima che le forze lo abbandonassero, ha voluto ringraziare con una lettera tutte le persone che lo hanno curato in ospedale, in special modo le infermiere che si sono prodigate giorno e notte per assisterlo nel migliore dei modi.
Gli ultimi giorni, i grandi dolori che lo affliggevano, lo costringevano a dormire su una sedia, piegato con le gambe all’indietro, una sofferenza indicibile, tanto che aveva pregato noi parenti a non andarlo più a trovare, perché voleva che lo ricordassimo per l’uomo che era e non per quello che era rimasto di lui. Nostro Signore lo ha premiato, gli ha teso la sua mano e lo ha fatto addormentare con una carezza, se lo è portato via così, lasciando a noi il suo corpo non più sofferente ma con un sorriso di gioia nel volto.