Shemà Israel Ascolta Israele per una reintroduzione di alcuni termini ebraici nelle traduzioni moderne della Bibbia
Shemà Israel
Se c’è un canto che crea emozione ascoltare è quello dello Shemà.
Tratto dalle parole della Torah del libro di Deuteronomio lo Shemà è …
Un canto, un simbolo, un credo, in ultima analisi Parola.
Parola di Dio, che di generazione in generazione si tramanda, facendo vibrare i cuori di chi recita o canta quelle parole nella bocca e nel cuore.
La prima volta che lo ascoltai e lo imparai fu nell’oratorio di Santa Chiara di Palermo, dove un salesiano, Don Rocco Rindone, aveva personalizzato alcune cose belle e importanti del cammino neocatecumenale, quali l’amore per la Parola di Dio e per il canto sacro.
La versione che cantavamo noi era come quella del video qui sotto.
Solo che la cantavamo un pò più velocemente, con meno retorica forse e più entusiasmo.
Era tra le nostre preferite, e anche se non era un canto strettamente liturgico, in un modo o nell’altro, talvolta veniva eseguito anche nella Celebrazione Eucaristica.
Deuteronomio
La traduzione Cei di Dt 6,4-9 è la seguente:
[4] Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.
[5] Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
[6] Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore;
[7] li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.
[8] Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi
[9] e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.
Ma non siamo ormai maturi per leggere nelle nostre traduzioni correnti “Ascolta Israele: Yahvè è il nostro Dio, Yahvè è Uno”?
E perché no anche ‘Shema Israel’ al posto di ‘Ascolta Israele’ se si volesse osare un pò di più.
Torah
Rimettere i nomi che la Bibbia usa per Elohim, El, Jahwè, Jh, Adonai e cambiare certi termini come il termine Legge con quello di Torah, anche nel Nuovo testamento se possibile, per far capire cosa veramente diceva il fariseo Paolo quando parlava della Legge non annullata ma superata dall’Amore.
Ci sono dei salmi come il salmo 109 (110) che francamente con la scelta di tradurre Jahwè con Signore rischiano di far perdere il senso delle parole del salmo che nella traduzione Cei inizia:
[1] Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”.
Prendendo una qualunque traduzione interlineare si legge invece: Oracolo di Jahwè al mio Signore.
Non sono Signori qualsiasi quelli che si parlano ma Jahwè che rappresenta il Dio esistente, che si rapporta con il popolo eletto prima e poi con il suo unto, che assume il titolo di Adonai e che assume anche Gesù di Nazaret senza temere di scandalizzare i suoi interlocutori nelle sue dispute tra Rabbì.
Disputa Rabbinica
Già, quelle riportate nei vangeli erano delle vere e proprie dispute tra diverse scuole di pensiero rabbinico, le ultime delle quali erano quelle del Battista e quella di Gesù il Nazzareno.
Con tutte le novità che Gesù impose alla sua scuola, di non battezzare lui personalmente, di avere un seguito femminile, di non vivere il sabato in modo legalistico, di non avere preghiere sue proprie eccezion fatta per il Padre Nostro strappata dai discepoli che si lamentavano di essere discriminati rispetto ai discepoli dell’Immergitore:
[Lc 11,1] Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”.
Purtroppo delle preghiere che insegnava Giovanni Battista ai suoi discepoli non è rimasta traccia se non nell’eco delle parole del non profeta rimaste nei vangeli delle origini e che solo con l’immaginazione possiamo ricomporre a mo’ di preghiera come nel testo nella pagina seguente.
Sadducei
E tra le dispute rabbiniche, la più famosa è quella con i Sadducei prima ed i Farisei dopo ed è quella forse più legata alla questione dello Shemà inteso proprio come paradigma dell’unicità di Dio.
La riportano tutti e tre i sinottici (Mt 22:23; Mc 12:18; Lc 2:27) facendoci conoscere una scuola rabbinica, quella dei Sadducei, che riconosceva solo la Torah e non i profeti.
Fermandosi ai primi cinque libri della Bibbia erano certi di vincere facile in una disputa con il Rabbì nazzareno sulla questione della risurrezione dei morti, alla quale non credevano, avendo una visione della storia, ciclica, reincarnazionista opposta a quella dei farisei che credevano alla risurrezione dei morti, agli angeli, ai profeti …
Certo Il Rabbì Galileo, Gesù con loro non poteva citare Ezechiele 37 o qualsiasi altro brano profetico, ammesso che il brano di Ezechiele fosse stato un brano relativo alla resurrezione dei morti e non una semplice metafora.
Cosa avrebbe risposto dunque Gesù alla loro parabola della moglie vedova di sette mariti?
Parabola che contiene un riferimento al libro di Tobia (Tb 3,7) pur da loro non accettato come canonico e che conferma il fatto che le parabole non sono storielline morali da cui trarre insegnamenti morali ma argomenti di discussione e di confronto per giungere alla verità in una discussione.
Il Nome di Dio nel Roveto
E invece Gesù li frega, se così si può dire.
Gesù cita esplicitamente il nome di Dio rivelato sul Roveto e con una vena polemica anche gli angeli come esempio di quello che sarà il modo di essere degli uomini dopo la risurrezione dei morti:
[Mc 12,26] A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo:
Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe?
Un brano che apparentemente non ha nulla a che vedere con la resurrezione dei morti.
Gesù però pronunciando il nome del Roveto l’Io Sono costituisce se stesso come esempio del destino immortale dell’uomo che seguirà il suo cammino.
Nuovo modo di intendere l’Unicità di Dio
Credo che il modo di parlare di Gesù abbia lasciato di stucco i suoi interlocutori che avrebbero potuto reagire come in altre occasioni tentando di lapidarlo.
Questa volta tacciono, forse perché si trovano in un terreno di discussione completamente nuovo su cui non avevano mai navigato prima.
Intervengono allora i Farisei, sorpresi anche dal silenzio dei sadducei.
Sono preoccupati perché il paradigma dell’Unicità di Dio con le parole di Gesù poteva risultare compromesso.
I Farisei riportano la questione sul binario dello Shemà, che è appunto il credo dell’unicità di Dio.
Gesù non nega lo Shemà, lo ripete, aggiungendovi il comandamento dell’amore del prossimo, imprescindibile dal primo.
Subito però riporta tutta la questione al salmo messianico 110 dove David ispirato chiama con lo stesso titolo di Adonai l’unto, il Messia, l’eletto, con cui ogni buon israelità pregando lo Shemà chiamava Dio.
Mt 22,33
[33] Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina.
[34] Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme
[35] e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
[36] “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”.
[37] Gli rispose:
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
[38] Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.
Secondo comandamento
[39] E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
[40] Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.
[41] Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro:
[42] “Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?”. Gli risposero: “Di Davide”.
[43] Ed egli a loro:
“Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:
[44] Ha detto il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?
[45] Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?”.
[46] Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.
Signore al mio Signore
Nel versetto 44 il temine greco, Kyrios è ripetuto due volte, non rende bene la traduzione del Salmo 110 ma è così.
Al massimo si può mettere un corsivo per ricordare la differenza dei termini ‘Signore’ nel salmo originale ma al di là di tutto questo usare il medesimo termine e non differenziarlo come nella scrittura originale forse è in se un modo di dirci una cosa molto semplice che Gesù è il Kyrios uguale a Jahwé Dio.
In pratica traducendo si interpreta, si fa esegesi, si fa teologia, questo deve fare riflettere molto i biblisti che traducono, la grande responsabilità che si assumono.
La disputa tra Gesù e sadducei prima e farisei dopo che ha coinvolto lo Shemà comunque alla fine una disputa di nomi che nel mondo ebraico sono tutto.
Questa disputa si conclude con una identità del Nome di Cristo con quello rivelato dal Dio del roveto, espressa nelle parole di Mc 12,26 e nella traduzione greca del Salmo 110 con l’uso del doppio kyrios.
Si apre dunque la strada per una Cristologia sul nome riportata nei celebri brani neotestamentari che seguono …
Fil 2,5-11
(Traduzione di Francesco Bindella, ‘La Rivelazione del Nome sul Roveto’ Cap. III la Kenosis di Gesù e il dono del nome quello (stesso) che è al di sopra di ogni nome’ Padre).
Rom 8,13
[8] Che dice dunque?
Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore:
cioè la parola della fede che noi predichiamo
[9] Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
[10] Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
[11] Dice infatti la Scrittura:
Chiunque crede in lui non sarà deluso.
[12] Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano.
[13] Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Claudio Pace 19 7 2017 Shemà Israel nella pagina seguente la possibile preghiera di Giovanni Battista ovvero l’Immergitore